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Economia e transizione energetica

02.06.2023

La transizione energetica in atto avrà profondi effetti sull'economia globale, saranno colpiti soprattutto i paesi e le imprese che ritarderanno il percorso e che più tardi di altri sperimenteranno un mix energetico e produttivo da fonti rinnovabili o comunque sostenibili.

L'accelerazione impressa dall'Europa con il "Fit for 55", proposta ambiziosa con cui si punta a raggiungere entro il 2030 la riduzione di emissioni di gas ad effetto serra di almeno il 55%, impone tempi e modalità che hanno creato e creeranno un effetto spiazzamento a livello internazionale. La guerra in Ucraina sta rallentando questo processo, ma il cammino è avviato e non si torna indietro.

I paesi e le imprese che saranno più virtuosi nell'affrontare la transizione energetica avranno un vantaggio competitivo rispetto a chi sta dietro; i costi iniziali che si dovranno affrontare per il passaggio ad un'economia da fonti sostenibili, saranno certamente inferiori a quelli che sosterranno tutti coloro che saranno in ritardo.

I paesi e le imprese che affronteranno per primi la transizione rischiano di pagare costi elevati; quali?

Ad esempio:

- le imprese non sostenibili avranno difficoltà a trovare fonti di finanziamento o pagheranno di più il denaro (a causa dell'aumento del rischio). Aumento del rischio che potrebbe compromettere la redditività del business stesso nel medio periodo. Tendenzialmente queste imprese saranno espulse dal mercato che favorirà certo gli imprenditori sostenibili;

- i paesi importatori che sono dipendenti da fonti fossili potrebbero sperimentare un aumento del costo di queste materie prime, causato dalla riduzione dell'offerta e dalla contrazione degli investimenti in idrocarburi, vedendo appesantire il costo della propria bolletta energetica;

- le imprese e i paesi non sostenibili avranno difficoltà ambientali; è vero che l'inquinamento non è solo un fenomeno locale ma è anche un fenomeno locale. Basta vedere cosa accade in India e in altri paesi dell'Asia e dell'Africa dove fiumi, falde, e in genere le risorse naturali e la biodiversità sono compromesse e risentono dei processi produttivi ed estrattivi fortemente inquinanti.

In ordine ai maggiori costi finanziari che le imprese non sostenibili dovranno pagare è evidente quanto sostenuto in una relazione di Banca d'Italia del novembre 2022 dove si afferma ad esempio che: "dal 2024 le banche dovranno inoltre calcolare indicatori sull'allineamento dell'attività delle controparti affidate alla Tassonomia europea, quali il Green Asset Ratio (GAR), il Banking Book Taxonomy Alignment Ratio (BTAR) e le emissioni di gas a effetto serra. Ciò richiederà informazioni granulari sul grado di allineamento agli obiettivi climatici della clientela affidata". Questa trasparenza comporterà una attenta valutazione del rischio. Sempre nella relazione di BdI leggiamo che: "con riferimento al rischio di transizione, per gli esercizi finanziari 2022 e 2023 le banche dovranno pubblicare tra l'altro l'ammontare delle esposizioni verso i dieci settori ad alte emissioni definiti dalla normativa europea8 e verso le prime venti società maggiormente inquinanti a livello mondiale, nonché il grado di efficienza energetica degli immobili ottenuti come garanzia. Per quanto riguarda il rischio fisico esse dovranno fornire dati sull'ammontare delle esposizioni verso controparti localizzate in aree geografiche particolarmente esposte, identificate utilizzando basi dati specialistiche delle quali l'EBA fornisce alcuni esempi. Le banche dovranno anche fornire una stima degli impatti dei rischi climatici sui requisiti regolamentari, nonché una descrizione delle metodologie di gestione del rischio adottate".

Il rischio che in futuro le imprese inquinanti possano non essere finanziate o finanziate a costi elevati traspare, oltre che dalla copiosa letteratura economica, anche da altri passi della relazione in esame dove si afferma che: "si pensi ai produttori di energia elettrica, al momento caratterizzati da emissioni estremamente elevate. Le banche e gli altri intermediari potrebbero decidere di conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione dei propri attivi dichiarati nei piani di transizione riducendo i finanziamenti a queste imprese".

La crisi di alcuni settori economici, nei paesi dove le imprese sperimenteranno importanti ritardi nei processi di transizione, potrà comportare una contrazione del PIL e la crescita di sofferenze bancarie e forme di credit crunch, con effetti di avvitamento e contagio anche ai settori più sostenibili. Quindi, ritardare la transizione o non favorirla è certamente un errore strategico.

Sempre BdI in uno studio del 2016 sugli effetti delle strette creditizie ci ricorda che: …. "i risultati mostrano che alla restrizione dell'offerta di prestiti bancari osservata a partire dal 2008 si è associata una contrazione statisticamente significativa del valore aggiunto provinciale: a un calo di un punto percentuale dell'offerta di prestiti è corrisposta una flessione dello 0,13 per cento dei livelli di attività".

La spirale che potrebbe essere innescata da una ritrosia al cambiamento sarà la seguente: riduzione del credito, contrazione degli investimenti, aumento dei costi delle fonti di finanziamento (quindi riduzione dei margini delle imprese), aumento dei fallimenti, contrazione delle attività e del capitale economico, riduzione del PIL. Questo scenario è poco confortante.

Senza contare che i consumatori sono e saranno sempre più propensi ad acquistare beni e servizi offerti da imprese sostenibili, quindi gli imprenditori per mettere a riparo il proprio business dovranno affrontare prima di altri competitor la transizione energetica.

Dal lato dei paesi, e restando in Europa che in larga parte produce energia sfruttando fonti fossili, la decarbonizzazione avrà effetti rilevanti oltre che in termini di benessere ambientale anche in ambito economico.

Attraverso quali strade? Essenzialmente queste:

- la riduzione dei costi di ripristino dei danni causati dall'inquinamento (non solo quelli relativi al surriscaldamento ma anche quelli che riguardano il deterioramento da attività estrattive e produttive inquinanti);

- la riduzione dei costi della bolletta energetica per cittadini ed imprese; è sempre più evidente come sostiene anche IRENA (International Renewable Energy Agency) in uno studio del 2019 che: i" costi dell'energia solare ed eolica hanno continuato a diminuire, integrando le più mature tecnologie bioenergetiche, geotermiche e idroelettriche. Il solare fotovoltaico (FV) mostra il calo dei costi più netto nel periodo 2010-2019 all'82%, seguito dall'energia solare a concentrazione (CSP) al 47%, dall'eolico onshore al 40% e dall'eolico offshore al 29%". Sempre l'agenzia in questione ricorda in un report recente che: "nei Paesi non OCSE, i 109 GW di energia rinnovabile aggiunti nel 2021 che costano meno della nuova opzione più economica alimentata da combustibili fossili ridurranno i costi di almeno 5,7 miliardi di dollari all'anno per i prossimi 25-30 anni. Inoltre, gli elevati prezzi del carbone e del gas fossile nel 2021 e nel 2022 deterioreranno profondamente la competitività dei combustibili fossili e renderanno ancora più attraenti il​​solare e l'eolico. Con un aumento senza precedenti dei prezzi del gas fossile europeo, ad esempio, la nuova produzione di gas fossile in Europa diventerà sempre più antieconomica, aumentando il rischio di stranded assets";

- la riduzione dell'offerta di fonti fossili, dovuta alla contrazione degli investimenti e delle attività estrattive che saranno sempre più onerosi per le imprese, farà aumentare con buona probabilità il costo della produzione di energia e questo renderà meno conveniente le attività produttive, deteriorando la competitività dei paesi.

È evidente che accelerare il processo di transizione energetica è un'opzione decisamente valida nel lungo periodo. Queste politiche si scontrano però con i costi iniziali, ogni cambiamento richiede nuovi processi, che i decisori politici potrebbero non accettare di dover mettere in agenda essendo abituati a decidere e ragionare sul breve termine. Per evitare di pagare un "dividendo" e avere minori consensi potrebbero commettere l'errore di ritardare la transizione. Ma rallentare il percorso, avrà costi più elevati nel medio e lungo periodo e renderà le imprese meno competitive obbligandole ad inseguire gli innovatori e i paesi più deboli.


DAL BLOG DOTT. ARTURO GULINELLI