La gestione dell’emergenza
DALBLOGARTUROGULINELLI.Le società moderne sono caratterizzate dalla concezione che il rischio di calamità o di catastrofi sia incombente. Non sempre, tuttavia, alcuni eventi riescono ad essere individuati con facilità e quindi non è semplice calcolarne la probabilità e codificarli. E questa incertezza è una costante dei nostri tempi; una modernità in cui la paura è spesso una variabile ricorrente.Ogni società, o ente organizzato, rispetto all'ipotesi del rischio che si verifichi una rilevante emergenza cerca di mettere in campo valide contromisure e strumenti di gestione; come ad esempio determinare la probabilità che quell'evento accada, perfino cercare di valutare se vi sono delle opportunità che l'emergenza possa riservare.In condizioni particolari la solidarietà della gestione delle catastrofi globali può attenuarsi e la conflittualità o gli egoismi aprono a scenari di chiusura. E del resto il pericolo può indurre ogni organismo a chiudersi al fine di preservarsi in vita. La "nuova" modernità, caratterizzata dal sistema capitalistico che ha dominato prima con l'accumulazione del capitale e poi con la condivisione delle conoscenze, avrebbe dovuto assicurare la frammentazione dei rischi, annullandone o riducendone gli impatti. Nella finanza strutturata, ad esempio, la gestione del rischio è passata per la polverizzazione e diffusione degli assets, in modo da rendere alcuni titoli meno nocivi perché "confusi" con altri; eppure la crisi finanziaria del 2007 ci ha insegnato che è difficile gestire con scientificità alcuni fenomeni e che non sempre si possono annullare le conseguenze negative.Lo sviluppo capitalistico intensivo ha prodotto danni ambientali e un uso eccessivo di risorse, aumentando i rischi di catastrofi naturali.Il rischio, la catastrofe e l'emergenza.Quando dal rischio si passa all'evento emergenziale la gestione delle conseguenze può necessitare l'impiego di idee, di sforzi e di attività che non sempre possono essere calcolate e pianificate con precisione.In tempi di emergenza la gestione dell'economia e il funzionamento di una società non rispondono a criteri di normalità e l'organizzazione di ogni processo implica decisioni e procedure nuove.ffL'emergenza che sia originata da fenomeni a carattere sanitario, ambientale o di altro tipo è in genere distinta in quattro fasi:- - La fase preventiva, o fase di preallarme, che riguarda il periodo che precede l'evento che crea l'emergenza. E' il momento in cui si registrano i primi segnali dello sviluppo dell'emergenza e in cui l'analisi dei dati e la loro elaborazione diventa di assoluto rilievo, soprattutto per poter prefigurare gli scenari possibili;- - La fase dello scoppio dell'evento, in cui si iniziano a manifestare gli effetti e si deve gestire l'emergenza. Anche in questa fase la raccolta dei dati e l'analisi e revisione degli scenari, ai mutati andamenti, restano di vitale importanza;- - La fase della gestione. Generalmente caratterizzata dall'ascesa e maturazione degli effetti negativi che scaturiscono in seguito al manifestarsi dell'evento. In questa fase è essenziale dare risposte operative, il coordinamento e la logistica sono funzioni di vitale rilevanza per la sopravvivenza di qualsiasi ente ed organismo. Non diminuisce la rilevanza delle attività di raccolta ed analisi dei dati ed adeguamento degli scenari;- - La fase post-emergenza che è normalmente dedicata al recupero della normalità e all'analisi di quanto accaduto e verificatosi. L'analisi dei dati è rivolta prevalentemente alla verifica degli scostamenti tra scenari previsionali e andamento dell'emergenza. Cosa ha funzionato e cosa è stato sbagliato. Dove migliorare e cosa fare in futuro per ridurre il rischio di una nuova emergenza.Il piano di gestione dell'emergenza è il punto essenziale intorno al quale ruotano la durata dell'evento e l'impatto economico, sociale e ambientale che ne scaturiscono.Ma per quanto si cerchi di pianificare e organizzare la gestione con uno sguardo al futuro, spesso le azioni più sensate sono quelle che interpretano i dati passati, quelli appena trascorsi e modificano le previsioni in forza degli andamenti registrati.La pianificazione è un elemento determinante dei moderni sistemi di gestione, che si tratti di un'impresa economica, di un ospedale, di uno stato o di una singola emergenza.Ma la pianificazione sconta la limitatezza della conoscenza umana e la difficoltà di prevedere l'evoluzione di eventi nuovi, soprattutto nel momento in cui questi si verificano ed iniziano ad interagire con l'ambiente.Una cosa che ci ha insegnato la grande crisi finanziaria del 2007 è che spesso non è semplice calcolare l'andamento di alcune variabili e governare quindi certi fenomeni. Le previsioni della crescita del PIL, di molti paesi avanzati, elaborata nel 2007 per gli anni successivi dalle più importanti istituzioni economiche furono tragicamente errate.La verità in questi contesti assume sfumature che non è sempre agevole cogliere. Così assistiamo ad una ampia, e spesso motivata, crisi di consenso nei modelli scientifici e previsionali.Società ed organismi complessi non possono agevolmente essere definiti e codificati.Non è un peccato pertanto relativizzare la realtà e rileggerla ex post con atteggiamento critico sottoponendola ad un vaglio che non può prescindere dalla lettura dei dati effettivi, soprattutto quando i dati previsionali sono risultati sbagliati.Pianificare è un obbligo ma confidare ciecamente nelle capacità di calcolo e pianificazione può essere fatale e soprattutto occorre conservare la capacità di saper innovare e cambiare strada. E' giusto il rispetto dei protocolli e delle prassi, ma nell'emergenza occorre saper ricorrere anche alla possibilità di sperimentare nuovi percorsi, per non lasciar nulla intentato.Sospensione temporanea dei brevetti in campo medico e sanitario? Autoproduzione dei farmaci essenziali? "Precetto" strutture cliniche private? Rimpatrio dei cervelli (ricercatori scientifici)? Ingenti investimenti pubblici per finanziare la ricerca di nuovi farmaci per la cura della pandemia?