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La ripresa post covid-19 è in atto ma l’incertezza è ancora presente

01.02.2022

DAL BLOG ARTURO GULINELLI. In quale modo e con quanta forza l'incertezza in economia possa condizionare le imprese e i privati è un fatto ormai certo.

Per l'economia mondiale la pandemia ha costituito un evento imprevedibile e in qualche modo unico, che ha determinato sia la contrazione della domanda che il blocco dell'offerta (a causa delle chiusure imposte dal lockdown) circostanze che non hanno precedenti nella storia (fatta eccezione per i due conflitti mondiali).

Come ci ricorda una analisi condotta da Credit Suisse: "nelle recessioni normali i settori ciclici dell'economia, come quello edilizio, subiscono una contrazione, mentre il settore dei servizi reagisce meglio. In questo caso, invece, l'impatto ha investito contemporaneamente i settori produttivi ciclici e l'economia dei servizi, con conseguenti fluttuazioni estreme dell'attività economica. Questo scenario è raro. Negli USA una contrazione dei servizi si è verificata solo tre volte negli ultimi 70 anni: nel 1973, nel 2008 e nel 2020".

Gli stati e le banche centrali hanno reagito alla contrazione mettendo in campo politiche espansive che hanno mitigato, seppur parzialmente, gli effetti della crisi economica. Vari fattori però aleggiano sulla ripresa dei prossimi anni: in primo luogo la circolazione del virus e la comparsa di nuove varianti sono un motivo di preoccupazione per le autorità, non solo a livello sanitario; anche l'aumento del costo delle materie prime e l'effetto sull'inflazione rappresenta un'incertezza e costringe i banchieri centrali a misurarsi con il rallentamento delle misure espansive.

L'inflazione potrebbe creare un braccio di ferro tra mercati e banche centrali circa l'opportunità o meno di proseguire con acquisto di titoli e riduzione dei tassi di interesse. La liquidità in eccesso potrebbe innescare delle bolle speculative; in effetti i segnali di un consistente apprezzamento dei titoli azionari è sotto gli occhi di tutti, soprattutto negli USA.

Le crisi di impresa e i fallimenti potrebbero causare un ulteriore crollo dell'occupazione e in particolare un aumento delle sofferenze bancarie.

La ripresa economica si era in parte già manifestata negli ultimi 5 mesi del 2020 e nel 2021 il trend di crescita è in atto. E' una crescita irregolare a livello globale con alcuni paesi che trainano (anche perché sono usciti prima dalla pandemia) e altri che inseguono. La Cina ad esempio nel 2020 ha avuto una crescita del PIL del 2,3% a differenza di molti altri stati che hanno registrato una caduta della produzione.

La contrazione a livello mondiale del PIL nell'anno 2020 è consistente e si è attestata al 3,4%, la riduzione peggiore dal dopoguerra ad oggi.

Anche dal punto di vista occupazionale la crisi ha fatto registrare dati preoccupanti: secondo una stima dell'ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) nel mondo nella secondo trimestre del 2020 (fase iniziale della pandemia) sono state perse circa il 15% delle ore totali di lavoro che equivalgono ad oltre 500 milioni di posti di lavoro; solo negli Stati Uniti sono stati persi nei mesi di marzo e aprile 2020 oltre 20 milioni di occupati.

La conseguenza della disoccupazione è stata e sarà una riduzione dei consumi e l'aumento della povertà, con una crescita delle disuguaglianze.

L'Unione Europea a 27 ha avuto una riduzione del PIL nel 2020 di circa il 6,1%, riduzione che per l'area Euro è stata più significativa avendo superato il 6,5%.

Alcuni paesi dell'America latina hanno avuto grandi problemi a livello economico; l'Argentina su tutti ha visto ridurre il proprio prodotto interno lordo di quasi il 10%.

L'incertezza sarà alimentata anche dai percorsi di riduzione del deficit e di rientro del debito (quello pubblico è cresciuto in modo elevato).

L'FMI ci ricorda che gli stimoli fiscali hanno inciso pesantemente sul deficit ma anche sul debito: ad esempio entro la fine del 2020 il rapporto fra il debito pubblico e PIL supererà il 130% negli Stati Uniti, il 160% in Italia e il 260% in Giappone.

Le filiere internazionali si stanno accorciando anche a causa dei rallentamenti nelle forniture di beni e materie prime, ma il commercio mondiale non dovrebbe subire grandi contraccolpi.

Non torneremo alla situazione economica pre-covid prima di tre o quattro anni e alcuni cambiamenti che la pandemia ha portato resteranno in "circolazione": lo smart working (anche se sarebbe meglio definirlo lavoro da casa), l'aumento dei processi di informatizzazione e digitalizzazione nelle attività produttive ma anche nelle abitudini e nelle vicende quotidiane di ogni persona, il rallentamento della globalizzazione. Assisteremo anche ad un ripensamento dei processi di urbanizzazione; il lavoro da casa in qualche modo dovrebbe permettere di poter lavorare ovunque, o quasi. Inoltre le città si sono dimostrate più vulnerabili nel contenimento del contagio del virus, rispetto alle zone rurali o ai piccoli centri urbani.

Non ultimo, gli investimenti pubblici e privati saranno sempre più sostenibili e attenti alle tematiche ESG.

Il mondo post covid sarà più disuguale e polarizzato. La CINA che ha "affrontato" il virus meglio di altri aumenterà la sua sfera di influenza economica e militare nel mondo. Gli Stati Uniti proveranno a cambiare i rapporti commerciali con gli alleati e cercheranno di contenere l'avanzata della CINA. Una nuova guerra fredda ci attende?

L'Africa e alcune zone dell'America latina hanno pesantemente subito la pandemia a livello economico oltre che sanitario e saranno i grandi malati del prossimo decennio, Il cambiamento climatico e l'aumento della popolazione renderà, in alcune di queste aree del mondo, poco sostenibile lo sviluppo e le migrazioni saranno difficili da gestire.

La cooperazione internazionale, illuminata e leale sia a livello economico che sociale e sanitario. è l'unica via di uscita per il nostro pianeta e sarà il vero "green pass" che permetterà alle nuove generazioni di andare dritte e sicure nel futuro.