
È bancarotta per distrazione anche senza danno effettivo
La Cassazione, con la sentenza n. 17807 del 12 maggio 2025, ha chiarito che tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell'impresa, determinano un depauperamento del patrimonio e mettono in pericolo le ragioni dei creditori integrano il reato previsto dall'ex articolo 216 della legge fallimentare. In particolare, ha confermato che l'amministratore di diritto è responsabile per non avere impedito l'evento, essendo sufficiente la generica consapevolezza che l'amministratore di fatto distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi i beni sociali.
Le decisioni di merito
Il Gip presso il tribunale di Milano, in sede di giudizio abbreviato, ha condannato a una pena, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta fraudolenta impropria per aggravamento del dissesto, un imputato, in qualità di amministratore unico di una srl, già dichiarata fallita dal Tribunale del medesimo capoluogo di regione.
In particolare, all'imputato sono state addebitate una pluralità di condotte distrattive, a partire dalla cessione dei beni di cui a una scrittura privata stipulata tra la società fallita e un'altra srl, avente a oggetto un capannone e una serie di automezzi, senza la previsione di alcun corrispettivo in favore della cedente. Alcuni dei beni ceduti, peraltro, erano detenuti dalla società fallita in forza di una serie di contratti di leasing, in relazione ai quali la cessionaria avrebbe dovuto provvedere al pagamento del debito in favore della società di leasing, oltre che a pagare lo stipendio ad alcuni dipendenti della cedente, obbligazioni mai adempiute.
La decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Milano. Pertanto, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la mancata dimostrazione, da parte dei giudici di merito, dell'elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che imponeva la verifica di ogni aspetto della condotta materiale contestata, valutata nella direzione finalistica, cioè danneggiare o favorire i creditori sociali, senza tacere, tra l'altro, che il solo amministratore di fatto della società fallita e socio della menzionata cessionaria aveva tratto profitto dalla vicenda distrattiva. La qualifica di amministratore di diritto, in conclusione, secondo l'imputato, non poteva comportare un automatico giudizio di colpevolezza, quando la concreta gestione da parte dell'amministratore di fatto fosse tale da ridurre l'amministrazione legale della società fallita a un mero atto formale e nominale.
La sentenza
La Corte di cassazione ha accolto parzialmente il ricorso del contribuente. Tuttavia, ha respinto il motivo appena esposto.
Nel dettaglio, i giudici premettono che l'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione è integrato dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (cfr Cassazione, pronunce nn. 21846/2014, 51715/2014 e sezioni unite 22474/2016).
Inoltre, il dolo generico è sufficiente a configurare l'elemento psicologico del delitto in questione, anche nella sua forma eventuale (cfr Cassazione n. 4472/1997), caratterizzata dalla consapevolezza che l'evento, non direttamente voluto, ha probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione, nonché dall'accettazione di tale rischio (cfr Cassazione n. 16523/2020). Resta del tutto estraneo alla definizione dell'elemento soggettivo del reato lo scopo perseguito dall'autore dei singoli atti di sottrazione, di occultamento o di dissimulazione, senza che possa assumere rilievo, in particolare, al fine di attenuare o giustificare le indicate operazioni, l'eventuale intento di salvaguardare l'avviamento economico e la capacità occupazionale, trasferendo beni e risorse verso altre società, ritenute maggiormente operative, in quanto la salvaguardia delle risorse sociali va attuata all'interno del soggetto proprietario, nell'interesse dei creditori e dei terzi che hanno fatto affidamento sul patrimonio e sulla capacità operativa della singola società (cfr Cassazione n. 13169/2001).
Quindi, l'accertamento del dolo generico deve valorizzare - secondo l'orientamento più volte espresso dalla Corte di cassazione - la ricerca di "indici di fraudolenza", rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (cfr Cassazione n. 38396/2017).
Di conseguenza, non consta al giudice di merito l'indagine sul profilo finalistico della condotta rientrante nel paradigma normativo dell'articolo 216, comma 1, n. 1, della legge fallimentare, essendo necessario dimostrare non che l'imputato abbia agito al precipuo scopo dì danneggiare i creditori, ma che egli abbia agito con la consapevolezza e la volontà di porre in essere una condotta in concreto pericolosa per le ragioni del ceto creditorio.
L'elemento oggettivo del reato
Orbene, sotto il profilo oggettivo, non era in dubbio che le condotte poste in essere dall'imputato avessero integrato una concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, trattandosi di operazioni tutte dirette a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni e altre attività, così da impedirne l'apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (cfr Cassazione n. 36850/2020).
Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l'elemento oggettivo del reato, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (cfr Cassazione nn. 44891/2008 e 48872/2022). Integrano, pertanto, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell'impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori (cfr Cassazione n. 15679/2013).
Proprio la natura di reato di pericolo del delitto rende del tutto irrilevante, ai fini della sua configurabilità, sotto il profilo dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, l'assenza di un danno per i creditori: quindi, il contratto di affitto d'azienda, stipulato in previsione del fallimento allo scopo di trasferire la disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico, integra il delitto in questione (cfr Cassazione n. 16748/2018).
Allo stesso modo appare costante l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in caso di bene pervenuto all'impresa a seguito di contratto di leasing, qualsiasi manomissione del medesimo, che ne impedisca l'acquisizione alla massa o che comporti per quest'ultima un onere economico derivante dall'inadempimento dell'obbligo di restituzione, integra il reato poiché determina la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento, con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell'inadempimento delle obbligazioni assunte verso il concedente (cfr Cassazione nn. 21933/2018 e 15403/2020).
Nel caso in esame, vi era la piena consapevolezza da parte dell'imputato di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, avendo egli svolto il ruolo di amministratore di diritto della società fallita in accordo con l'amministratore di fatto: le cessioni, del resto, erano intervenute in un momento in cui la società fallita non riusciva più a pagare dipendenti, erario e fornitori, e, in sintesi, avevano determinato una spoliazione del patrimonio della fallita, perché non sorrette da una congrua contropartita.
In definitiva, l'amministratore di diritto risponde del reato in argomento unitamente all'amministratore di fatto per non avere impedito l'evento, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l'amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi i beni sociali, la quale non può dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministratore (cfr Cassazione n. 7332/2015), essendo stata dimostrata non una generica consapevolezza, ma una condivisione da parte di entrambi gli amministratori, di diritto e di fatto, del disegno criminoso volto alla spoliazione del patrimonio della società fallita.
da Fisco Oggi