
Plusvalenza da cessione di quote: irrilevante il mancato incasso
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 10694/2025, interviene su due temi centrali del contenzioso tributario: l'obbligo di rispetto del termine dilatorio previsto dallo Statuto del contribuente (articolo 12 comma 7, oggi abrogato) e la determinazione delle plusvalenze in caso di cessione di quote sociali. La decisione riafferma che, ai fini fiscali, la plusvalenza si considera realizzata al momento della stipula del contratto, a prescindere dalla successiva effettiva riscossione del prezzo pattuito.
Il fatto
L'Agenzia delle entrate aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di un contribuente per omessa dichiarazione di una plusvalenza, derivante dalla cessione di quote di una società avvenuta nel 2008. Il contribuente sosteneva che nessuna plusvalenza fosse stata realizzata, poiché il corrispettivo pattuito non era stato incassato.
In primo grado, la Commissione tributaria provinciale aveva respinto il ricorso del contribuente. In appello, però, la Commissione regionale di Salerno aveva accolto le doglianze del contribuente, annullando l'avviso di accertamento.
La posizione della Cassazione
Con decisione netta, la Suprema corte ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate, rigettando l'originario ricorso del contribuente.
La Corte ha stabilito che il vizio derivante dal mancato rispetto del termine dilatorio tra la chiusura delle operazioni di controllo e l'emissione dell'avviso (articolo 12, comma 7, della legge n. 212/2000 – oggi abrogato) non poteva essere sollevato d'ufficio, ma doveva essere espressamente contestato nel ricorso introduttivo. La Commissione regionale ha quindi errato nel valutarlo in appello come motivo autonomo. Richiamando poi una consolidata giurisprudenza, la Corte ha ribadito che: "La plusvalenza da cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali va dichiarata nel periodo in cui si realizza formalmente, a prescindere dalla percezione del prezzo."
Il principio di competenza previsto dall'articolo 109 del Dpr n.917/1986 impone che il reddito si consideri conseguito alla data di stipula dell'atto, senza rilievo per l'effettivo incasso. Il mancato pagamento può rilevare, semmai, in un momento successivo come sopravvenienza o perdita, ma non incide sulla formazione della plusvalenza iniziale.
La Corte ha inteso dare continuità all'orientamento di legittimità secondo cui, in tema di imposte sui redditi, la plusvalenza derivante dalla vendita di un'azienda o dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali, va dichiarata, inderogabilmente, nel periodo in cui si è formalmente realizzata, non rilevando né le vicende che attengono alla fase dell'adempimento, quale ad esempio il mancato incasso o l'incasso parziale del prezzo (Cassazione del 26 maggio 2021 n. 14560), né quelle relative alla sorte del contratto, che venga eventualmente e successivamente annullato, con conseguente restituzione del prezzo (Cassazione del 30 novembre 2016 n. 24378), eventi fiscalmente autonomi che vanno dichiarati nei distinti periodi di imposta in cui si verificano.
In conclusione, la cessione di partecipazioni o aziende genera immediatamente plusvalenza tassabile, anche se il prezzo non viene incassato.
Da Fisco Oggi